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VENEZIA – “Soul Energy”, ovvero l’energia dell’anima. E’ intorno a questo tema che ruota la produzione dell’artista vietnamita Henry Le (Vietnam,1982) esposta nella sua personale all’Arsenale Nord di Venezia, quale evento collaterale della mostra dei finalisti della 14° edizione di Arte Laguna Prize.  

“Si tratta della prima esposizione in Italia dell’artista  – racconta la curatrice Chiara Canali. “Ho conosciuto Henry Le proprio tramite l’Arte Laguna Prize e mi sono appassionata al suo lavoro. E’ quindi nata l’idea di realizzare una mostra che in realtà si sarebbe dovuta inaugurare a marzo 2020, ma tutto è stato posticipato a causa del lockdown”. 

Dall’architettura alla spiritualità. L’espressività affidata alla materia e al colore 

L’esposizione, visitabile fino al 12 ottobre 2021, presenta una quarantina di lavori. “Si sviluppa in una doppia dimensione, quella pittorica e quella installativa/scultorea” – spiega la curatrice – “Henry Le si è formato come architetto e ha svolto questa professione per circa 10 anni dopodiché, desiderando avere una maggiore libertà di espressione e autonomia, ha deciso di eleggere le arti visive come esperienza prioritaria della sua vita”. Tuttavia  – evidenzia ancora Canali – “la sua formazione rimane sicuramente fondamentale, in particolare per quel che concerne la parte installativa che origina da un’idea concettuale, meditata e accuratamente strutturata in dialogo con lo spazio”. 

Quella che viene presentata è una mostra che allo “strapotere” odierno del digitale oppone invece una forte componente umana, dove alla concretezza materica fa da contrappunto una profonda visione spirituale. Queste due anime convivono, infatti, in perfetto equilibrio fino a dare vita a una cifra stilistica unica e personale che sfocia, non solo in una evidente perizia tecnica, ma soprattuto in una potente e dirompente espressività, portando alla luce la complessità e la profondità del lavoro dell’artista.

L’universo rappresentato da Henry Le assume così le sembianze di un flusso di coscienza che invita ad avvicinarsi alle opere attraverso i sensi e la sensibilità, in una ricerca tesa al recupero della contemplazione individuale e al ritorno ai significati originari.

Ne sono un esempio le sculture, presenti anche in mostra, dal titolo The Humans, figure scheletriche, incarnazione delle “anime” svuotate della loro corporeità, quindi gabbie di pura energia. Esse sono realizzate attraverso una intelaiatura architettonica in maglia di metallo e successivamente ricoperte con tele trattate dall’artista. “Si tratta di sacchi di iuta, generalmente utilizzati per contenere prodotti alimentari, che l’artista ‘salva’ restituendo loro una seconda vita. I sacchi vengono lavorati fino a diventare rigidi, per poi essere applicati sulle sculture o sulle tele. Infatti, questo modus operandi è utilizzato da Henry Le anche per la realizzazione dei suoi quadri”. 

La parte pittorica è quella in cui emerge maggiormente la dimensione dell’inconscio. “L’artista in questo caso non è più imbrigliato da un’idea, da un concetto iniziale e raggiunge quindi la massima libertà di espressione. Proprio da questa dimensione scaturisce anche il titolo della mostra ‘Soul Energy’”.

Energia, dunque, come fattore primario che, nelle parole dello stesso artista “gli permette di trasferire il suo mondo spirituale nelle opere d’arte, dandogli un ritmo e una vita autonoma”.

Cartografie immaginarie dell’anima

“Henry Le trascorre circa  tre/quattro mesi dell’anno a dipingere. Questa pratica è per lui una sorta di ricarica spirituale. Nel restante periodo gira  per il suo paese raccogliendo informazioni, documentandosi e scegliendo i materiali da utilizzare. Raccoglie pietre, minerali preziosi, cristalli, legno di diverso tipo che lascia macerare nel corso dei mesi. Il processo di scelta e di recupero dei materiali è molto importante per l’artista”.

Materia e colore si stratificano e si sommano sulla tela, dando quasi vita a una modulazione tridimensionale che potrebbe suggerire una sorta di plastico orografico, ma che è invece un rimando a suggestioni private .”I sacchi di iuta vengono accartocciati fino a creare immagini che ricordano rilievi montuosi oppure ondulazioni del mare, ma non sono altro che cartografie della sua anima, della sua interiorità” – precisa la curatrice. Il quadro diventa esso stesso un essere vivente in continua evoluzione.

La matrice occidentale 

Il lavoro di Henry Le è frutto di un ricerca multiforme, che va dal recupero di una dimensione più prettamente artigianale, fisica, materiale a quella più meditativa, psichica e mentale. E’ la coesistenza di due matrici, quella orientale e quella occidentale, di cui l’artista non nasconde l’influenza. Cita esplicitamente l’ispirazione a Antoni Tapies, artista spagnolo, tra i protagonisti dell’informale europeo, “che però, secondo Henry Le ha saputo anche veicolare delle istanze orientali, ovvero quello spirito meditativo asiatico all’interno di una concezione puramente occidentale” – puntualizza Canali. 

Complessivamente il lavoro di Henry Le è una sorta di enigma ammaliante, di difficile categorizzazione che si colloca probabilmente in una terza via tra tradizione artigianale e opera concettuale, oriente e occidente, figurazione e astrazione, conservando caratteri di forte autonomia e unicità.

Il mito, la storia e l’influenza della cultura vietnamita, porte di accesso alla dimensione dell’inconscio 

L’opera My own world, assemblaggio di 18 tele che fa da sfondo alle sculture in mostra, rappresenta la summa del mondo visivo di Henry Le. 

“Un lavoro nel quale, se guardato attentamente – sottolinea Chiara Canali – è possibile intravvedere degli ominidi e dei segni che ricordano le tracce dei primi uomini sulla terra, presenti anche in alcune caverne in Vietnam (equivalenti alle Grotte di Lascaux in Francia). Risulta quindi evidente la volontà di ricollegarsi alla mitologia, alla storia dell’uomo, mantenendo sempre un forte legame con la storia del Vietnam”.  

Il collegamento alla storia orientale è anche nel richiamo ai 5 elementi della tradizione vietnamita: terra, acqua, fuoco, metallo e legno. “Tutti tornano nel suo lavoro. Il metallo sotto forma di gabbie scultoree, come in The Humans, ma anche il legno che viene spesso utilizzato nelle installazioni. Il fuoco viene evocato attraverso alcune colorazioni, sono, infatti, spesso presenti tracce di rosso molto evidenti nei quadri. Infine, l’acqua e la terra come elementi primari si ritrovano costantemente nella sua pittura”. 

Insomma, nel lavoro di Henry Le si vengono a sovrapporre più piani, quello del reale, del racconto, del ricordo, della storia, del mito, ma a prevalere è comunque sempre la dimensione dell’inconscio, delle pulsioni vitali, dell’energia, in cui la rappresentazione non necessita di una soddisfazione o giustificazione sociale o ideologica. “La Storia – afferma la curatrice – è presente, così come la tradizione, ma sono riferimenti culturali visivi, che vengono trasposti nella sua arte. E’ la sua visione della storia, vissuta attraverso i suoi occhi, senza la volontà di inserirli in un dibattito sociale o politico”

E’ sempre e comunque la sfera personale a prevalere. Ma non si tratta di un’operazione autoreferenziale, piuttosto di mettersi in gioco in prima persona, come essere umano e artista che ha il potere di creare eternamente uno spazio dilatato di bellezza. 

 

https://artemagazine.it/2021/10/09/allarsenale-nord-di-venezia-la-prima-personale-dellartista-vietnamita-henry-le-intervista-alla-curatrice/?fbclid=IwAR16NOkwUNpOxGMsHdb6NS8HEX4Kkx6RlPfQRhApIA9EY_jrmch8K_GtBlg